Il quaderno nero di Valeria
"Quaderno proibito" di Alba de Céspedes: un romanzo sulla forza della scrittura e la sua dipendenza
Ho fatto male a comperare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto. Non so neppure che cosa m’abbia spinto ad acquistarlo, è stato un caso. Io non ho mai pensato di tenere un diario, anche perché un diario deve rimanere segreto e, perciò, bisognerebbe nasconderlo a Michele e ai ragazzi. Non mi piace tenere qualcosa nascosto; del resto, in casa nostra c’è tanto poco spazio che sarebbe impossibile riuscirvi (Incipit Quaderno proibito).
Ho conosciuto Alba de Céspedes che era estate. Nella località di mare dove ci rechiamo ogni anno con la mia famiglia, mi ritaglio dei momenti di solitudine sotto l’ombrellone per fare ciò che amo di più al mondo: leggere. Prima di partire scelgo con cura un romanzo dalla mia libreria, e una volta giunta in quella cittadina accerchiata dal mare lo porto in spiaggia, non curante dell’aria marina che inevitabilmente rovinerà la copertina. Quell’anno la scelta è ricaduta su Alba e sul romanzo Dalla parte di lei che acquistai quasi per caso qualche mese prima. Del romanzo e della sua protagonista Alessandra ho scritto un articolo che potete leggere qui.
Ad oggi, nel silenzio di una stanza che dà su un’alta montagna verde, spesso nascosta dalla nebbia, ricomincio a leggere Alba de Céspedes. E dopo Alessandra Corteggiani, conosco Valeria: Valeria Cossati. Entrambe le donne hanno un nome e un cognome, come se l’autrice avesse voluto distinguerle dalla massa di tutti i personaggi che, spesso, posseggono solo un nome. Questa scelta vuole dare loro un’identità precisa e ben delineata, e accentuare un senso di realtà. Alessandra e Valeria saranno esistite sul serio?
Una scrittura proibita
Sono stata vari giorni senza scrivere perché mi sentivo staccata da me stessa. Mi pare che io possa continuare ad andare avanti soltanto a patto di dimenticarmi.
Valeria, al contrario di Alessandra, è già adulta e vive la sua vita da donna sposata. Suo marito si chiama Michele e lavora in una banca, mentre i suoi due figli, Riccardo e Mirella, studiano Legge all’università. La sua storia, dunque, non comincia dall’inizio come avviene con Alessandra, ma in medias-res, nel corso di una domenica mattina, quando gli uffici son chiusi e la gente esce per fare le ultime compere. È il 26 novembre del 1950, il cielo è azzurro e anziché in autunno, sembra di stare in primavera1.
Valeria esce di casa con l’intento di comprare le sigarette a Michele, e mentre è in fila dal tabaccaio nota una torre di quaderni neri sul bancone. Decide di acquistarne uno e fugge a casa senza farsi vedere da nessuno, nascondendo il quaderno sotto la giacca.
Nei romanzi di De Céspedes ci sono sempre delle immagini che mi rimangono fisse in mente e alle quali torno spesso durante e dopo la lettura. Ad esempio, nel romanzo Dalla parte di lei ricordo ancora il fatto del gallo. Della storia di Valeria, invece, mi è rimasto impresso il momento in cui la donna si avvicina alla cassa per pagare il quaderno e il tabaccaio, rivolgendole uno sguardo arcigno, le dice: «È proibito!»2 .
Nel leggere questa parte mi sono chiesta se quell’uomo avesse assunto davvero quell’atteggiamento nei confronti di Valeria, o se in realtà fosse stata proprio una sua immaginazione, scaturita dalla paura di possedere un quaderno su cui scrivere. Per Valeria, infatti, la scrittura non è una semplice azione, ma rappresenta una sfida con sé stessa e la vita che conduce. È un processo di smembramento, di studio profondo di ogni organo della sua persona, fino a esaminare non solo ciò che è visibile, ma anche ciò che non lo è; ad esempio, i respiri, i battiti del cuore, i tremolii delle mani. A seguito dell’acquisto, Valeria riporterà attimo dopo attimo le sue giornate, come se la scrittura la obbligasse a tenere traccia di sé stessa e della sua quotidianità.
Fino a quel momento Valeria aveva vissuto la sua vita imbardata dalle faccende domestiche: rassettare casa, lavare i piatti, sistemare i letti, riordinare gli scaffali, senza dare tanta importanza a ciò che avveniva realmente in sé. Da quando la scrittura irrompe nella sua vita, qualcosa dentro di lei si rompe per sempre. Non c’è più una linearità nelle sue azioni, ma ogni cosa comincia a sfasciarsi. E quella persona ordinata, delineata da contorni e margini ben precisi, si ritrova a pezzi:
Prima dimenticavo subito ciò che accadeva in casa; adesso, invece, da quando ho incominciato a prendere nota degli avvenimenti quotidiani, li trattengo nella memoria e tento d capire perché si siano prodotti. Se è vero che la nascosta presenza di questo quaderno dà un sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve a renderla più felice. In famiglia bisognerebbe fingere di non avvedersi mai di ciò che accade o, almeno, non domandarsene il significato (p. 16).
Da quando Valeria comincia a scrivere nel suo quaderno, rende limpida anche la vita che si svolge nelle quattro mura della sua casa. Michele non è più il solito marito che lavora in banca, ma diviene un uomo triste e affaticato dai pensieri: il suo viso si stropiccia, sembra persino diventare un’altra persona. Anche Riccardo si trasforma poco a poco, e Valeria si sente tradita perché in quel figlio non trova più il riflesso di un tempo. E poi c’è Mirella, che non è più la ragazzina che Valeria credeva che fosse, ma è una donna ormai adulta. La famiglia cambia, e come la famiglia, cambiano gli amici, i colleghi di lavoro, cambia il portinaio che la saluta ogni mattina, la gente che passa per le vie del centro di Roma. Cambiano i sentimenti, le sensazioni, cambia persino il tempo.
Ma soprattutto cambia la prospettiva con cui si guardano le cose. E quelle cose che un tempo apparivano belle agli occhi di Valeria, adesso si trasformano in cose sfatte, senza senso. La scrittura, dunque, rivela le brutture della vita? Valeria crede di sì, infatti nel suo quaderno scrive:
Da quando ho incominciato a scrivere, non mi pare più che tutte le cose che accadono nella nostra casa siano belle da ricordare. Forse ho incominciato troppo tardi a tenere un diario, avrei dovuto scrivere di Riccardo e Mirella bambini. Ormai, benché io non riesca ancora a considerarli tali - essi sono già adulti: hanno tutte le debolezze degli adulti, forse già tutti i loro peccati. A volte, invece, penso che ho torto a scrivere ogni cosa che accade; fissato in uno scritto sembra cattivo anche quello che, nella sostanza, non lo è (p. 40).
Eterno conflitto madre-figlia
Sarei rimasta tutta la notte dietro la finestra a spiare il cielo per lei, se me lo avesse chiesto (p. 162).
Alla fine del romanzo, ho visto il viso di Valeria divenire calmo e rilassarsi, cercare gli occhi di Mirella, sua figlia, e chiedere perdono. Il perdono è un sentimento forte, ed è proprio questa forza a incutermi timore. Valeria sente che ha troppo premuto nella vita di sua figlia ma non vuole ammetterlo a sé stessa. Mirella ha un carattere difficile, certo, ma è innamorata, e Valeria non le può perdonare questo sentimento. Non lo può perdonare perché anche lei prova lo stesso per un uomo, e perché pensa sia tutto sbagliato in quel sentimento. Scrive e trascrive questo pensiero perché sa che nella scrittura tutto può rimanere segreto.
Nemmeno con sua madre Valeria riesce a identificarsi3, forse per via del cambio generazionale che c’è tra le due. Valeria scrive che tanto sua madre quanto sua figlia non la potranno mai capire, in quanto lei è una donna che sta a metà, in un periodo che sembra non essere mai esistito:
Il passato non serviva più a difenderci e non avevamo alcuna certezza del futuro. Sento tutto in me confusamente e non posso parlarne a mia madre né a mia figlia perché nessuna delle due comprenderebbe. Appartengono a due mondi diversi: l’uno che è finito con quel tempo, l’altro che è nato da esso. E in me questi due mondi si scontrano, facendomi gemere. Forse è per questo che spesso mi sento priva di qualsiasi consistenza. Forse io sono solo questo passaggio, questo scontro (p. 239).
Valeria e Alessandra: due donne unite dalla stessa penna
In questa parte mi piacerebbe soffermarmi sulle analogie che ho trovato nei due romanzi di Alba De Céspedes partendo dalle copertine dei due libri (di cui possiedo l’edizione “Oscar Mondadori”).
Nella copertina di Quaderno proibito c’è una donna “tagliata”. Il titolo del ritratto è appunto The scissorhands, il nome dell’artista è sconosciuto. “Scissorhands” significa letteralmente “mano che taglia”. Se osserviamo attentamente la copertina vediamo una mano che copre gli occhi delle donna, e tanti pezzi che sembrano essere stati incollati tra di loro, come un collage. Nella copertina del romanzo Dalla parte di lei vi è sempre una donna, e stavolta è l’intero suo viso a essere coperto da una striscia dorata. Mentre la seconda donna è coperta interamente, la parte inferiore del viso della prima è ben visibile. Dalla parte di lei è stato pubblicato anteriormente a Quaderno proibito, e in esso troviamo un personaggio molto fragile, che si sfascia più facilmente di Valeria. Alessandra sembra perdere la bussola fin da bambina, quasi come se non avesse via di scampo dalla sua vita, o come se non volesse addirittura cercare un modo per liberarsi da ciò che la tiene in gabbia. Al contrario, Valeria è una donna forte ormai, che riesce ad adattarsi anche nei momenti di debolezza. Mi piace pensare che Alessandra sia un prolungamento di Valeria e che, in entrambi i romanzi, ci sia una volontà ben precisa di collegare le storie di queste due donne.
Un altro particolare che ha catturato la mia attenzione è stato sicuramente il colore nero. Dopo la morte della madre, Alessandra decide di vestirsi di nero per coprire le forme del suo corpo. Il quaderno acquistato da Valeria è proprio di colore nero, come quello che usava a scuola4.
Alessandra non teneva un quaderno, le piaceva leggere, osservare da dietro un vetro il cielo, i passanti; se avesse avuto la possibilità di tenere in mano una penna, forse, si sarebbe salvata. O forse no. Come Valeria avrebbe continuato la sua vita, nascondendosi, ferendosi col proprio dolore. In un certo senso, Valeria ha riscattato Alessandra, l’ha portata nel mondo. E poi, alla fine, si è disfatta di lei e di sé stessa.
Quando un romanzo (e un’autrice) mi piace così tanto, vado alla ricerca di video, podcast, che possano raccontarmi qualcosa che vada aldilà delle pagine scritte. Su Alba ho trovato un video di “Fondazione Mondadori” nel quale si parla della fortuna editoriale dei romanzi dell’autrice. Durante l’incontro viene menzionata Elena Ferrante che, nella sua opera La frantumaglia, dedica proprio una parte al romanzo Dalla parte di lei. Soprattutto in America, Ferrante ha avuto un ruolo fondamentale per la fortuna dei romanzi di De Céspedes, che al contempo ha influenzato i suoi romanzi.
La scorsa estate, dopo aver letto Dalla parte di lei, mi è subito tornata in mente Elena Ferrante: Alessandra mi aveva ricordato Lila, soprattutto per via del sentimento di smarginatura che il personaggio ferrantiano riesce a provare sulla propria pelle. La smarginatura di Alessandra è molto simile a quella che prova Lila, e somiglia anche a quella che Valeria comincia a provare dopo aver acquistato il quaderno.
Nella prefazione al romanzo Quaderno proibito, la scrittrice Nadia Terranova rievoca la storia di Valeria e anche la sua di storia, ricordando quando da bambina osservava il dorso del romanzo senza però leggerlo. Poi scrive:
La grandezza di Alba de Céspedes in questo libro è nell’aver fatto a pezzi l’illusione che scrivere sia un luogo di riparo, sostituendola con la certezza che quel luogo sia sempre inquinante e sabotatore.
Un giorno Valeria esce di casa e, dopo aver comperato un quaderno nero dal tabaccaio, la sua vita cambia per sempre. Arriva a definire il quaderno “un diavolo”, proprio perché la mette a nudo e svela i suoi pensieri più nascosti. Mi chiedo allora quanta influenza ha la scrittura nella nostra vita e quanta potenza sprigiona a tal punto da sconvolgere completamente ciò che prima credevamo di essere. Scrivere è forza o debolezza?
«Ricordo benissimo quel giorno: benché fosse autunno inoltrato il cielo era azzurro, il sole tiepido come in primavera. Ero sola e mi pareva che non fosse giusto esser sola in una giornata simile a quella, perciò son tornata a casa sottobraccio al quaderno» (p. 244).
«Ma quando rialzai gli occhi, vidi che il tabaccaio aveva assunto un’espressione severa per dirmi: “Non si può, è proibito». Mi spiegò che l’agente stava di guardia sulla porta, ogni domenica, affinché si vendessero tabacchi soltanto, null’altro. Ero rimasta sola nel negozio. “Ne ho bisogno” gli dissi “ne ho bisogno assolutamente”. Parlavo sottovoce, concitata, ero pronta a insistere, a scongiurare. Allora egli si guardò attorno poi, lesto, prese un quaderno e me lo tese attraverso il bancone, dicendo: “Lo metta sotto il cappotto” (p. 4).
«Forse mia madre è stata troppo intransigente con me, quando ero bambina. “Cuci” mi diceva sempre “studia”. Quando fui grandicella, non appena smettevo di studiare mi assegnava alcune faccende domestiche. Non permetteva mai che restassi inoperosa, non si dimenticata mai di me. Se per un momento non mi vedeva, entrava in camera mia e mi domandava che facessi. “Una donna non deve stare mai senza far nulla” diceva» (p. 100).
«Erano quaderni neri, lucidi, spessi, di quelli che usano a scuola e sui quali — prima ancora d’incominciarli — scrivevo subito, in prima pagina, con trasporto, il mio nome: Valeria» (p. 4).