Il dolore incrostato all'intonaco delle pareti
Il tarlo di Layla Martínez, pubblicato da La nuova frontiera in Italia, è un urlo contro la violenza di genere e di classe, raccontato da due donne e una casa
Quando mi sono imbattuta nel romanzo dell’autrice spagnola contemporanea Layla Martínez, non leggevo per mio piacere personale da alcuni mesi. Le mie letture riguardavano perlopiù lo studio di saggi su mondi infiniti e sirene in letteratura. Alle sirene dei miei studi, quindi, si sono contrapposte le streghe, creature magiche e misteriose che popolano questo romanzo.
Le protagoniste (vive e vegete) sono due donne: una nipote e una nonna. La prima, ancora un po’ ingenua, è tornata a casa dopo un grave “fattaccio” ed è malvista dalla gente del paese; la seconda, invece, si è ormai abituata alle occhiatacce e agli appellativi che le vengono attribuiti ogni volta che qualcuno passa per la loro casa. La complicità di queste due donne, forse, è stata la cosa che più mi è piaciuta del romanzo. Seppur opposte, le due si sono protette a vicenda pur avendo a disposizione solo le quattro mura di una casa. Loro due contro tutti, a ricordare e amare chi è sparito troppo in fretta ma ha donato loro la vita.
Per conoscere cosa le ha condotte fino a quel momento, e comprendere il perché di tutta quella sofferenza, si deve fare un grande passo indietro e tornare all’origine, quando il dolore non era ancora incrostato alle pareti della casa ma viveva all’interno della prima donna che diede inizio all’incantesimo.
La casa
Questa casa è una maledizione, mio padre ci ha maledetto costruendola e ci ha condannato a vivere fra le sue mura.
[…]
Quello che mio padre non sapeva è che sarebbe rimasto intrappolato nella prigione che stava costruendo. Quando mia madre si rese conto che non avrebbe mai potuto andarsene da quella casa, smise di pregare i santi e cominciò a parlare con le ombre. Ogni volta che le sentiva mormorare sotto il letto o appostarsi dietro la porta, gli cantava ninnananne come se fossero bambini piccoli.
[…]
E le ombre si calmavano e si mettevano tranquille e probabilmente si erano affezionate a mia madre e avevano preso in odio mio padre.
Tutto ha inizio con un uomo che, credendosi invincibile sopra ogni cosa, costruisce una casa con le sue mani. Poi sposa una donna e la porta a vivere con sé. L’uomo ama possedere la donna, quindi la chiude in quelle quattro mura che ha costruito con le sue mani grezze e piene di graffi, e si vanta ogni giorno del lavoro che ha portato a termine e che tutti, in paese, gli invidiano. In poco tempo la casa, all’apparenza grande e sontuosa, si trasforma in un piccolo covo di ombre che sgattaiolano dall’intonaco delle pareti, da sotto i tappeti, dalle lenzuola un po’ logore dei letti sfatti. Quelle ombre, però, non sono opera dell’uomo malvagio, ma sono spiriti buoni che, richiamati dal primordiale sussurro, accorrono in soccorso alla donna e la aiutano a liberarsi del suo oppressore.
Da questa donna ne nascono altre tre; donne diverse l’una dall’altra, ma tutte segnate dall’inesorabile destino di sapersi streghe e reiette. Da quel momento in poi, la casa diviene loro antro e fortezza contro una società sempre più patriarcale ed elitaria.
La storia comincia dall’oggi, per poi alternare passato e presente, presente e passato, attraverso le voci delle due donne sopravvissute che, a capitoli alterni, raccontano la loro storia:
«Quando ho varcato la soglia, la casa mi è saltata addosso. Succede sempre con questo cumulo di mattoni e sporcizia, piomba su chiunque attraversi la porta e gli strizza le budella fino a toglierli il fiato. Mia madre mi diceva che questa casa ti fa cadere i denti e ti prosciuga le viscere, ma mia madre se n’è andata molto tempo fa e io non me la ricordo. So che diceva così perché me l’ha raccontato mia nonna, anche se non ce n’era bisogno perché lo so già. Qui ti cadono i denti e i capelli e la carne di dosso e se ti distrai un momento ti ritrovi a strisciare per terra o ti butti sul letto e non ti rialzi più.» (Incipit de Il tarlo)
Laddove “le pareti si dilatano come polmoni di un grande animale”, la vecchia parla con dei santi raffigurati nelle immaginette che sormontano i muri dall’intonaco incrostato. Da un paio di anni ha deciso di non parlare con gli angeli, perché non sono come se li era figurati -belli, riccioli d’oro e guance rosee- ma simili a mantidi religiose, poi si muove furtivamente come un insetto, strisciando per i corridoi bui e le piastrelle consumate. A volte, vede il corpo di sua madre con la quale non ha mai avuto un buon rapporto, ma che ha sempre ammirato, e quello della bambina che ha partorito troppo presto ma che non ha mai smesso di amare. Ogni volta che la casa rilassa i polmoni, o si agita e dimena contro ante di finestre e porte delle camere, lei ricorda e incrosta il suo dolore alle pareti.
Queste due donne, la nonna e la nipote vivono all’interno di quella casa come fossero sole al mondo. Le altre persone continuano nelle loro vite e incombenze quotidiane, mentre in quella casa, il tempo pare fermarsi e non circolare più.
Echi in altri romanzi
Quando entravo nella camera della signora restavo lì a guardare quei flaconi che costavano come la mia paga di un mese, li vedevo tutti lì in fila, bene allineati, e pensavo a quanti mesi quanti anni avrei dovuto lavorare io per pagarmi quei prodotti quante volte avrei dovuto soffiare il naso a quel moccioso idiota quante tirate di capelli avrei dovuto sopportare per valere quanto quel cofanetto di make-up.
Tra i romanzi che ho letto, due trovano eco in questa storia: La casa degli spiriti di Isabel Allende e Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. In particolare, la produzione morantiana dei racconti e del primo romanzo presenta tematiche condivisibili con la storia di Layla Martínez. In primis, la forte componente femminile dalla quale prende vita la storia; la presenza di spiriti o larve (come piace chiamarli a Morante); la forte diseguaglianza tra classi sociali; la compresenza della guerra. Quest’ultima è menzionata in Martínez, mentre in Morante no. Ma l’odio, la violenza, il dolore -scaturiti da quegli anni di guerra- si riflettono pienamente sulle rughe e sui modi di fare di ogni personaggio della storia. C’è un racconto, in particolare, che appartiene alla preistoria di Morante, che si intitola La nonna, nel quale la figura della vecchia rimanda al personaggio de Il tarlo: entrambe sono decrepite, sembrano streghe agli occhi della gente e parlano con gli spiriti.
Il tarlo
Non aveva dentro quel tarlo che avevamo io e mia madre, quel rodimento cattivo che non ti lascia in pace e fa sì che non lasci in pace gli altri.
Quanto dolore ci portiamo addosso? Quanto ne dobbiamo sopportare per una sola vita? Di certo non possiamo portarlo da soli, a qualcuno o a qualcosa lo dobbiamo pur affidare: a una penna, al cuscino, alle lunghe passeggiate in riva al mare, oppure, come accade in questo libro, a una casa e alle sue pareti. Il dolore lo si può incrostare lì, sull’ intonaco rosso-verde-giallo-viola di una casa costruita in mezzo al nulla, sulle pareti tappezzate di immagini di santi, oppure dentro a un armadio, dove un tarlo mangiucchia il legno e dove la sofferenza giace, finalmente, per sempre.
Questo romanzo è ‘geniale e inaspettato’ perché per parlare di un fatto reale e di problematiche ancora esistenti, l’autrice si è servita della magia: come a voler dire che ciò che leggiamo non è finto solo perché è popolato da spiriti e mura che respirano, ma è reale, tremendamente reale da far accapponare la pelle. Il tarlo è un urlo alle ingiustizie, ai soprusi, alle botte, al dolore che ti si incrosta dentro e ti fa marcire piano. Leggendolo capirai, almeno in parte, il potere salvifico delle parole.