La scrittura mi ha donato un volto
Diciotto anni, l'estate, la libertà: "Memoria di ragazza", il romanzo coraggioso di Annie Ernaux
Ho voluto dimenticarla anch’io, quella ragazza. Dimenticarla davvero, ossia non avere più voglia di scrivere di lei, del suo desiderio, della sua follia, della sua idiozia e del suo orgoglio, della sua fame e del suo sangue prosciugato. Non ci sono mai riuscita. Nel mio diario sempre frasi, allusioni a «la ragazza di S», «la ragazza del ‘58». Sono vent’anni che annoto «58» nei miei progetti di libri. È il testo mancante, sempre rimandato. Il buco inqualificabile.
(Memoria di ragazza, Annie Ernaux, p. 19)
È l’estate del 2014, fa caldo, la gente parte per le vacanze: direzione mare. Annie Ernaux, scrittrice francese e premio Nobel della letteratura 2022, è seduta alla scrivania della sua stanza. Di fronte a sé ha un foglio bianco, tiene in mano una penna. C’è qualcosa in quella giornata afosa che le ricorda un’altra estate, molto più lontana: quella del 1958. Anche durante quell’anno la gente partiva per il mare e Annie Duchesne era solo una ragazzina di diciassette anni, prossima ai diciotto.
La sua vita, fino a quel momento, ha un qualcosa che ricorda la mia, e sicuramente quella di molti altri lettori che la leggono per la prima volta. Non saprei dire se è mera suggestione derivata dalle sue parole, o se c’è qualcosa di più profondo che mi spinge a guardarmi dentro, come lei sta facendo in quella stanza, nell’estate del 2014.
Faccio un respiro profondo e provo a immaginare me stessa a quell’età. Frequento il penultimo anno di liceo, sono una tra le più piccole - quasi tutte le mie compagne hanno compiuto diciotto anni. Porto gli occhiali rotondi e ho i capelli cortissimi. Forse è stato proprio l’anno in cui ho deciso di colorarmi una ciocca colore del mare. Annie Duchesne per me è ancora irraggiungibile, non conosco la sua storia personale, tantomeno quella che l’ha conferita scrittrice. La letteratura non è ancora passione viscerale che mi avvolgerà in seguito. Sono solo una semplice ragazzina che cammina ai lati del lungo corridoio della sua scuola, nascondendo le mani, il volto, persino sé stessa.
Leggendo Memoria di ragazza sono tornata agli eventi del mio passato che proverò a ricordare e scardinare man mano, immaginando la me di sette anni fa tenere per mano quell’altra ragazza, Annie Duchesne -ad oggi conosciuta come Annie Ernaux.
Quello che Annie Ernaux fa, ancora prima di scrivere, è scavare. Passa in rassegna i ricordi, li mette uno dietro l’altro, in fila, come quando a scuola ci preparavamo per la prova antincendio. Il primo ad aprire la fila è solitamente l’alunno seduto al primo banco, l’ultimo è quello che sta alla fine, il più coraggioso e temerario, non consapevole del rischio. Il rischio non c’è mai stato, era sempre e solo una prova. Annie Ernaux ritorna all’estate del 1958, e nel momento in cui mette in fila i ricordi, scoppia l’incendio. Lo stesso incendio che non è mai scoppiato nella classe del quarto superiore, nel vecchio istituto dell’ex scuola magistrale al secondo piano. Non si sa se distruggerà ogni cosa o lascerà illese alcune parti. Ciò che è certo è che deve scoppiare. È tutto scritto.
Nel 2014 ha compiuto settantaquattro anni, ha ormai alle spalle un lungo e intenso passato. Ha già scritto diversi libri, è ormai celebre nel mondo letterario. Non si chiama più Annie Duchesne, ma Ernaux. Annie Ernaux. Proprio durante quell’anno, Annie Duchesne, l’Annie di diciotto anni, le si presenta davanti:
Devo forse fondere la ragazza del ‘58 e la donna del 2014 in un «io»? Oppure, cosa che mi parrebbe non più giusta - valutazione soggettiva - ma più avventurosa, devo dissociare la prima dalla seconda utilizzando un «lei» e un «io», così da spingermi il più lontano possibile nell’esposizione dei fatti e delle azioni? E il più crudelmente possibile, come coloro che ascoltiamo da dietro una porta mentre parlano di noi dicendo «lei» o «lui» e in quel momento ci sentiamo morire.
Rileggo più volte questa parte, ci passo sopra la matita, faccio delle linee un po’ storte (sto leggendo il libro in treno quindi mi è difficile mantenere la mano ferma). Mi immagino dietro la porta della mia stanza ad ascoltare le voci di persone che mi conoscono e verso i quali provo una profonda stima -parlare di me, senza di me. E mi sento morire per davvero.
Annie Ernaux decide di non scrivere di sé in prima persona, bensì in terza. Lo fa per un motivo ben preciso: deve essere più oggettiva possibile. La sua scrittura diretta e feroce deve essere come un bisturi che scandaglia i ricordi della sua mente, del suo passato, come fossero un corpo senza vita su un lettino di un obitorio. Un corpo pronto per essere aperto. Deve stare attenta, mantenere la calma ed essere il più precisa possibile, altrimenti tutto deborda, si smargina, e sporca da tutte le parti.
Annie Duchesne è la figlia di proprietari di una drogheria. La sua vita si può riassumere in due parole: casa e chiesa. Non ha mai parlato con una persona del sesso opposto, forse per vergogna, forse per timore di un qualcosa che potrà accadere contro la sua volontà. Ma durante quell’estate qualcosa si trasforma e lei diventa un’altra persona distante da quella che è stata fino a quel momento, nel suo piccolo paese di provincia, con due genitori ossessionati dall’apparenza.
La sua vita più intensa è quella che vive nei libri, di cui è ingorda da quando ha imparato a leggere. È grazie a loro e alle riviste femminile che conosce il mondo (p. 35)
Durante l’estate del ‘58 («Un’estate immensa come lo sono tutte fino ai venticinque anni, prima di accorciarsi in piccole estati via via più brevi di cui la memoria spariglia la successione, lasciando sopravvivere soltanto quelle spettacolari per la siccità e il caldo estremo»), Annie si innamora di un ragazzo. Sente le farfalle nello stomaco quando lo vede passare, si ingelosisce se lo scopre a discorrere con un’altra ragazza, sente dentro di sé tutti i sintomi dell’innamoramento e non riesce a smettere. Quel ragazzo si chiama H. e di lui ricorda poche cose, ad esempio che assomiglia a Marlon Brando, e ha un po’ di pancetta che riesce a camuffare grazie alla sua altezza. Lui, d’altro canto, sembra non vederla realmente, la ama per qualche notte, poi la lascia sola tra le lenzuola, con le sue mille domande senza alcuna risposta. Domande che, nella sua mente, diventano gigantesche, e si espandono sempre di più, fino a scoppiare. Come un incendio. In un primo momento Annie decide di dimenticare. Impone a se stessa un silenzio ferreo: non parlare, non scrivere, non pensare, e ci riesce per lunghi anni. Almeno fino al 2014. Mentre scrive, non sa che fine abbia fatto quell’educatore biondo, conosciuto in colonia nell’estate del 1958. In seguito scopre che si è sposato con un’altra donna, si è creato una nuova vita altrove, e non ha cambiato quei tratti da Marlon Brando che lei aveva visto nel suo viso. Sa che è vivo, reale, e scrivere le fa ancora più paura.
Dal momento in cui conosce H. qualcosa in lei cambia. Scopre l’amore, il sesso, la voglia di stare tra le braccia di un’altra persona, un uomo, una persona del sesso opposto con il quale non ha mai avuto il coraggio di parlare. È come se solo grazie a lui, Annie riesce a diventare se stessa. Come se per tutta la sua vita, fino a quel momento, essa non fosse esistita veramente, perché nessuno l’aveva toccata, desiderata, voluta. Non è sicura che H. la desideri davvero. Ciò che importa è che lui sia lì, dove sta anche lei.
Le pagine che si susseguono sono tremende dal punto di vista emotivo: il lettore entra a conoscenza dei fatti più oscuri e segreti, può inorridire, può pensare o ricordare. Tante sono le emozioni che lo percorrono, e che invadono la stessa Annie Ernaux mentre scrive. Finalmente ha attraversato quei corridoi, è entrata in quella stanza, ha osservato in faccia la ragazzina di diciotto anni appena compiuti. Solo adesso può proseguire.
Qui la storia estiva si interrompe e ne parte un’altra che ha a che vedere con i mesi e gli anni immediatamente successivi.
Questa volta - 28 aprile 2015 - lascio la colonia per davvero. Prima di esserci rientrata e rimasta per mesi tramite la scrittura, non ne ero mai partita (p. 118)
Credo che un po’ di vergogna Annie Ernaux l’abbia provata a scrivere questa storia. L’autobiografia porta sempre con sé un sentimento che prende alla pancia della persona che scrive. Nel corso della scrittura si chiede se deve smettere di ricordare e cerca di fuoriuscire da sé per vedersi dall’esterno. Inizia a pensare come gli altri, a vedersi come la vedono gli altri, seduta al tavolino di un caffè anonimo di una città francese. Ma la scrittura è più forte di qualsiasi sentimento di vergogna. Il bisogno di scrivere pone radici profonde nel suo essere fino a sedimentarsi nel suo cuore. Una volta arrivati lì, dove è arrivata lei, non si può più tornare indietro.
La letteratura fa rivivere quel corpo che credeva morto per sempre. Lo disseppellisce, togliendolo dalla tomba, lo ripulisce da tutta la terra che si è incastrata in esso; sotto le unghie, nei capelli sottilissimi, tra le ciglia dure. Annie Ernaux crede nel potere della scrittura, è consapevole che solo attraverso di essa può risorgere («Ho iniziato a fare di me stessa un essere letterario, qualcuno che vive le cose come se un giorno dovessero essere scritte»). E non perché voglia ritornare come era nel 1958 - ormai quella ragazza appartiene al passato - ma perché ha bisogno di perdonare ciò che è stata, di guardare negli occhi quella piccola donna che ha amato, a modo suo, e ha lasciato amare agli altri, a modo loro.
Credo anche di essere tornata a S, a rivedere la colonia, perché speravo di trovarvi la forza per scrivere il romanzo che volevo iniziare. Una specie di premessa necessaria, benefica alla scrittura, di gesto propiziatorio, o di una preghiera, come se quel posto avesse il misterioso potere di intercedere tra la realtà passata e la scrittura (p. 233)
In molti mi avete chiesto pareri su questo romanzo e io riesco a dirvi solo questo: parlare di un pezzo di vita non è semplice, soprattutto se è quel pezzo di vita che ancora brucia, una ferita aperta, mai rimarginata. Non è semplice marginare la smarginatura, colorare lungo i bordi, fare pace con se stessi. Annie Ernaux ce l’ha fatta, ha avuto coraggio - che è la cosa più importante in letteratura. Adesso tocca a te capire se vale la pena rimarginare le tue di ferite.