La letteratura silenziosa di Gabriel García Márquez
Gli universi letterari, i pranzi della domenica, i destinatari dei suoi romanzi: l'immenso mondo del grande scrittore colombiano
Mi piace osservare le fotografie dei miei scrittori preferiti, studiarne i lineamenti e, grazie all’immaginazione, ricavare i loro pensieri. Chissà a cosa stava pensando Gabriel García Márquez in questo celebre primo piano in bianco e nero. Con le sue lunghe dita affusolate copre i suoi baffi imponenti e simmetrici che portò per tutta la vita, mentre lascia scoperta l’altra metà del viso: i capelli brizzolati, le folte sopracciglia nere, la fronte stropicciata da timide rughe. Ciò che risalta però, in questo viso a tratti malinconico, a tratti divertito, sono i suoi grandi occhi a mandorla. Se si guarda a lungo il ritratto, infatti, capita di sentirsi osservati; come se l’autore ci stesse studiando con l’intento di scrivere un’altra delle sue stravolgenti e mirabolanti storie in cui noi, molto probabilmente, saremmo i protagonisti.
I mondi letterari che Márquez trasportava nei suoi romanzi non erano inventati o casuali: ognuno di essi nasceva da una circostanza ben definita che lui o altri suoi conoscenti avevano vissuto. L’unico modo per non disperdere il ricordo, pensava lo scrittore, era quello di trascriverlo sulla carta e farlo leggere al mondo, affinché ogni lettore, poi, potesse ricordarlo a modo suo. Márquez credeva nella “verità” della letteratura. Ci credeva davvero. E riportava quella verità, assottigliandola, lavorandola con mani da artigiano, nei suoi magici romanzi. Per questo (e molto altro) ho imparato ad amare le sue creazioni.
La domenica in casa Márquez
Durante i pranzi domenicali, di cui amava la condivisione e lo stare insieme, Márquez rimaneva in silenzio, accerchiato dalla moglie Mercedes, i loro due figli, Gonzalo e Rodrigo, e gli amici poeti, scrittori, politici che accorrevano a casa sua per parlare dei più disparati temi, tra cui la politica, l’arte, la musica e i libri. A Márquez piaceva parlare, ma lo faceva raramente, scambiava giusto qualche parola per ricordare agli altri - e anche a sé stesso - di trovarsi lì, davanti a una grande tavola imbandita, il vociare degli amici e lo sguardo attento dei suoi due figli che osservavano la scena e tutti quei bizzarri personaggi da dietro il vetro di una bottiglia posta sul tavolo. Nessuno però tra i presenti sapeva (forse qualcuno lo sospettava) che quell’uomo un po’ panciuto e bassino, con i baffi, gli occhi a mandorla e lo sguardo sognante, era sospeso tra due mondi: quello reale, del pranzo domenicale, e quello fantastico e magico che viveva all’interno della sua mente.
Di letteratura non parlava quasi mai, piuttosto lasciava parlare gli altri di questo mondo che lui conosceva così bene. Gli piaceva immaginare, attraverso le parole degli altri, cosa si nascondeva dietro i volti divertiti e sognanti dei suoi amici. Era curioso di carpire i loro segreti, trasformarli in parole. Credeva che dentro ogni essere umano ci fossero delle piante che, a seconda della età, crescevano rigogliose. In quelle piante risiedevano delle informazioni segrete che era bene tradurre in parole affinché non si disperdessero con la vecchiaia e, infine, con la morte. Per questo preferiva ascoltare ciò che avevano da dire gli altri. Lui si limitava a scrivere.
Ciò che amava fare nei suoi romanzi era trasportare la vita di chi conosceva, senza mai tradirne la fonte. Modellava delle storie fantastiche e immaginarie sulle parole che aveva ascoltato, basandosi sempre sul vero. In queste storie era impossibile risalire alla persona in carne e ossa che aveva prodotto quel racconto, poiché Márquez tramutava la carne, le ossa, i battiti del cuore dei suoi conoscenti dapprima in inchiostro, e poi in parole.
I destinatari dei suoi romanzi
Mi piace leggere Márquez d’estate, sento che c’è qualcosa nell’autore che appartiene alla stagione del mare, della spensieratezza e del caldo. Tra i tre libri che ho letto non saprei scegliere il più bello: sicuramente Cent’anni di solitudine è stato il romanzo che mi ha trascinato nel suo vortice infinito; con L’amore ai tempi del colera ho faticato un po’ nelle prime pagine, ma poi ne sono rimasta folgorata; con Dell’amore e di altri demoni ho scoperto un Márquez diverso da quello a cui ero abituata, più sofferente ma sempre magico.
Quando Márquez scriveva, tendeva ad avere sempre qualcuno in mente al quale, una volta terminata la stesura, avrebbe destinato la sua storia.
Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati.
(Incipit, L’amore ai tempi del colera)
Il primo romanzo che lessi nell’estate di quattro anni fa è stato L’amore ai tempi del colera. Un romanzo sulla forza degli sguardi e sull’immortalità del sentimento più antico del mondo. Il libro è dedicato, naturalmente, a Mercedes, la donna amata da Márquez1.
È stata lei, Mercedes, a ispirare la più lunga storia d’amore, durata per cinquantuno anni, nove mesi e quattro giorni, notti comprese. L’unico modo per raccontare l’amore, pensò Marquez, era fondere la sua vita quotidiana con quella della donna che l’ha accompagnato fino alla morte. Così l’odore delle mandorle amare non sarà più presagio di amori contrastati, ma porterà alla mente solo tranquilli ricordi.
Il secondo romanzo è stato Cent’anni di solitudine; un romanzo che ho letto in pochissimo tempo, tra il caldo afoso di giugno e il silenzio paesano. L’ho letto sul balcone, nelle ore più calde con la tenda che mi proteggeva dai raggi del sole. Ogni giorno, alla stessa ora, mi ritrovavo fisicamente sul balcone di casa mia, ma mentalmente vagavo fino a Macondo, in casa della famiglia Buendía, assistendo all’evolversi di sette generazioni. La dedica del romanzo recita: a Jomí García Ascot e María Luisa Elío. Facendo delle ricerche ho scoperto che Jomí e María erano marito e moglie, nonché amici di Márquez.
Grazie a un articolo di Victor Nunez Jaime ho potuto ricostruire l’amicizia tra lo scrittore e i due. Fu Álvaro Mutis, amico di vecchia data dello scrittore, a presentarlo alla giovane coppia. E proprio a loro, e ad altri suoi amici, Márquez iniziò a raccontare l’idea per il suo prossimo romanzo nel silenzio di una stanza lontana dai rumori della città. María ricorda così quel momento:
Incominciò a raccontare di una barca che aveva visto non so dove. E dopo disse che nel suo paese aveva visto dei fiori e altro, piovere dal cielo […]. Eravamo tutti a bocca aperta, meravigliati delle cose che ci raccontava2.
Jomí e María accorrevano ogni giorno a casa di Gabo (così lo chiamavano gli amici) per ascoltarlo leggere le pagine che via via andava scrivendo. Lo ascoltavano estasiati come se stesse leggendo loro un testo sacro che non tutti potevano capire. Come dirà anche lo stesso autore dopo la pubblicazione, Cent’anni di solitudine è un omaggio agli amici che hanno ascoltato i suoi racconti, e che hanno creduto in lui. Tutti quei segni nascosti, misteriosi, oscuri che si possono incontrare nel romanzo, sono segni che solo questi amici possono riconoscere.
La dedica di Dell’amore e di altri demoni è: Per Carmen Balcells, bagnata di lacrime.
Carmen Balcells è stata un’agente letteraria che ha portato al successo numerosi autori ispano-americani, tra cui lo stesso Márquez. In un bellissimo articolo di “Rivista Studio”, dal titolo La donna che inventò gli scrittori sudamericani, viene raccontata la storia di questa donna “ombra” che, probabilmente, solo pochi conoscono. Il mestiere di agente letterario era ancora poco conosciuto quando Carmen cominciò a studiare e lavorare in un’agenzia di uno scrittore rumeno, Vintila Horia. Nel 1960 aprì la sua di agenzia che molti scrittori videro come una scialuppa di salvataggio in un mondo in cui gli autori naufragavano mentre gli editori raggiungevano spediti il porto. Difatti, Carmen impose nuove clausole nei rapporti tra scrittori ed editori, aiutando i primi a ottenere il giusto compenso e spronando i secondi a offrire loro dei contratti “giusti”. Con Márquez, Carmen ebbe un rapporto molto profondo; leggeva i suoi libri con tanta curiosità, e con altrettanto amore li proponeva al pubblico.
Dalle parole di alcuni scrittori che l’hanno conosciuta, sappiamo che Carmen era solita affidarsi all’oroscopo, credeva alle parole dei sensitivi e dei guru che frequentava abitualmente, e si emozionava sempre: difatti, piangeva dalla mattina alla sera, sia che fosse felice, sia che fosse triste, bagnandosi di lacrime.
Márquez dedicò questo suo romanzo alla donna che lo mise al mondo: il mondo della letteratura, dei libri, dei sogni che spesso svaniscono sotto ai nostri occhi ma che non muoiono mai; sono sempre lì, pronti a rifiorire dalle lacrime.
La dedica recita appunto: A Mercedes, naturalmente
Y él empezó a contar acerca de un barco que había visto no sé dónde. Y luego dijo que en su pueblo había visto llover flores y algo más. Me encantó […]. Todo el mundo estábamos con la boca abierta alrededor de él, maravillados todos.
Cara Domenica, ti leggo ormai da tanto tempo e mi sei sempre piaciuta, ma bisogna riconoscere che la qualità della tua scrittura sta migliorando esponenzialmente.
Le parole che hai utilizzato per descrivere il ritratto di Màrquez possiedono una sapienza nello scrivere non indifferente, sono convinta che navigheranno nella mia mente per parecchio tempo.
Questo articolo, soprattutto nella prima parte, somiglia tanto a un racconto.
Complimenti, è sempre un piacere leggerti!
Da amante di Marquez posso solo dirti, grazie❤️ lo hai descritto con parole eccelse!