Il romanzo immortale di John Steinbeck
L'amicizia con Pat e il desiderio di raccontare la propria vita
Nella valle del Salinas, tra due catene montuose e il lungo fiume che si snoda per tutto il territorio fino poi a gettarsi nella baia di Monterey, si svolge la storia di due famiglie, gli Hamilton e i Trask. I personaggi sono tanti ma per fortuna, all’inizio del romanzo c’è un albero genealogico che aiuta il lettore a non disperdersi in questa grande valle della California settentrionale.
Gli Hamilton vengono dall’Irlanda, da quando Samuel Hamilton, il capofamiglia, decide di trasferirsi nei campi del Nord America per cercare di dare un futuro migliore alla sua numerosa famiglia: cinque femmine e quattro maschi, più la moglie Liza.
Nell’albero genealogico vengono indicati uno per uno i figli e, accanto al nome di Olive, una delle figlie di Samuel, c’è scritto tra parentesi: madre di Steinbeck.
John Steinbeck, l’autore de La valle dell’Eden, aveva detto più volte, nel corso della sua vita, che uno dei suoi obiettivi in letteratura era quello di scrivere la storia della sua famiglia. Lo diceva ai pochi con i quali parlava, vista la sua tremenda timidezza, con lo sguardo basso e gli occhi lucidi. Diceva, però, che era troppo difficile farlo, perché mettere per iscritto i movimenti e i gesti di persone che aveva conosciuto da piccolo gli costava un’enorme fatica. Ad esempio Samuel, suo nonno, era stata una figura “fantasma” nella sua vita perché morto quando lui aveva solo dieci anni. Eppure, tra le pagine di questo romanzo, egli riprende vita come se non se ne fosse mai andato veramente (la magia della letteratura).
Devo affidarmi al sentito dire, a vecchie fotografie, a racconti e ricordi nebulosi e intrisi di leggende per cercare di raccontarvi gli Hamilton (John Steinbeck).
L’editore Pascal Covici
La valle dell’Eden fu pubblicato nel settembre del 1952, circa tredici anni dopo Furore, dalla casa editrice americana Viking Press (la stessa casa editrice che pubblicò Jack Kerouac e Stephen King). L’editore con il quale Steinbeck ebbe un rapporto molto intenso, quasi d’amicizia, si chiamava Pascal Covici; anche se lo scrittore preferiva rivolgersi a lui con il diminutivo di Pat.
Del rapporto con Pat sul web si trova poco, eppure i lettori di Steinbeck sanno quanto sia stato importante nella sua vita non solo di scrittore, ma anche sul piano personale.
Scrivere di se stessi e della propria vita passata, come abbiamo già detto, non è semplice. Sopratutto se si parla di persone vissute prima ancora di raggiungere la piena maturità e conoscenza di se stessi. Da questo punto di vista, Covici è stata quella persona che ha compreso Steinbeck, aiutandolo a liberarsi dai suoi pesi attraverso la scrittura. Gli ha dato una penna, proprio nel momento in cui era difficile trovare l’ispirazione, e l’ha aiutato a tracciare le righe di questa nuova storia.
Il sentimento che Steinbeck provava per Covici lo si può ritrovare nella lettera che lo scrittore scrive al suo editore e che appare nella prima pagina de La valle dell’Eden:
Caro Pat,
mi hai sorpreso mentre intagliavo una figura nel legno e mi hai detto: “Perché non fai una cosa per me?”
Ti ho chiesto cosa volevi, e mi hai risposto: “Una scatola.”
“Per farne che?”
“Per metterci dentro delle cose.”
“Quali cose?”
“Quello che hai” mi hai detto.
Bene, ecco la tua scatola. C’è dentro quasi tutto quello che ho, e non è ancora piena. Ci sono dolore ed euforia, momenti buoni e cattivi, pensieri buoni e cattivi… Il piacere del progetto e un po’ di disperazione e l’indescrivibile gioia della creazione.
E in più ci sono tutta la gratitudine e tutto l’affetto che provo per te.
Eppure ancora non è piena.
In queste poche righe, che sembrano l’incipit di un racconto, è racchiuso il cuore de La valle dell’Eden: il tentativo di Steinbeck di dare una voce a uomini e donne che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita, rendendoli immortali.
Pascal Covici muore nel 1964, qualche anno dopo la pubblicazione del romanzo, e il primo nome che appare nel necrologio pubblicato dal The New York Times, è proprio quello di John Steinbeck.
Intervistato il giorno della sua morte, lo scrittore affermò: “Pat Covici was much more than my friend. He was my editor”.
E poi aggiunse: “Only a writer can understand how a great editor is father, mother, teacher, personal devil and personal god”.
Concludendo con una frase che sembra richiamare la dedica de La valle dell’Eden: “For nearly 40 years Pat was my collaborator and my conscience. He demanded of me more than I had and thereby caused me to be more than I should have been without him”.
Di Steinbeck sappiamo che era una persona solitaria fin da bambino. Anche nell’intervista (forse l’unica) che circola sul web, il suo sguardo rivela tracce del suo carattere schivo ma sorprendentemente curioso. Si guarda attorno, attento ai minimi particolari, osserva negli occhi i suoi intervistatori. Le sue risposte sono brevi e dirette; si limita a rispondere alle domande che gli vengono poste senza aggiungere altro. Vuole che tutto sia preciso e puntuale ma al contempo, mentre tutti sono impegnati a fare altro, scava in profondità, fino alla fine, fino al centro della terra, come fa suo nonno Samuel nel romanzo, un uomo niente affatto materialista e molto profondo, amante della letteratura. Nell’introduzione al romanzo Luigi Sampietro scrive a proposito di Steinbeck:
Nato piccolo borghese, aveva un carattere solitario ma era altresì un uomo curioso di conoscere la gente che da bambino aveva osservato solo da lontano e rimase sempre sensibile ai problemi di chi non sa come sbarcare il lunario.
Il romanzo nasce proprio da questa timidezza che spinge a stare ai margini da dove è possibile osservare tutto quello che succede attorno.
Il luogo natale
Penso non si debba sottovalutare l’importanza dei luoghi nei romanzi. Salinas, dove viene ambientata la storia, ebbe un ruolo fondamentale nella vita di Steinbeck. Lì aveva vissuto con la sua famiglia, aveva frequentato la scuola e instaurato le prime amicizie. La sua casa natale è molto particolare e appare, anche se in un breve passaggio, all’interno del romanzo:
D’impulso (Adam) lasciò Main Street per imboccare Central Avenue fino al n. 130, la casa alta e bianca di Ernest Steinbeck. Era una casa immacolata e accogliente, abbastanza imponente senza essere pretenziosa, che sorgeva dietro uno steccato bianco, circondata da un prato basso, con le rose e i cotonastri che lambivano i muri bianchi (pp. 490-491).
Nel romanzo la casa ha quindi uno spazio marginale, tuttavia è proprio da lì che il piccolo Steinbeck comincia a ideare la sua storia.
Steinbeck non avrebbe potuto ambientare altrove il suo romanzo famigliare. Quella parte di vallata della California settentrionale, situata tra due catene montuose e un lungo fiume che, poi, va a gettarsi nella baia di Monterey, dove la famiglia Steinbeck si recava probabilmente nel periodo estivo, era per lo scrittore un luogo speciale.
Nell’incipit ci troviamo di fronte a un narratore in prima persona, che poi si farà da parte nel corso della storia. La voce narrante rievoca i ricordi della sua infanzia, soffermandosi sul paesaggio, per poi passare alla storia del luogo e ai vari insediamenti da parte di popoli differenti.
La valle del Salinas, nella California settentrionale, è una lunga gola stretta tra due catene montuose: il fiume si snoda e serpeggia nel centro, finché non si getta nella baia di Monterey. Ricordo i nomi che davo da bambino alle piante e ai fiori segreti. Ricordo dove si può trovare qualche rospo, e a che ora si svegliano gli uccelli d’estate; e il profumo degli alberi e delle stagioni, l’aspetto che aveva la gente, come camminava e perfino l’odore che aveva. La memoria olfattiva è molto potente (incipit, p. 11).
Gli Hamilton e i Trask
Da qui parte la storia degli Hamilton, la famiglia dello scrittore: del patriarca Samuel, la moglie Liza e i loro nove figli. Questa storia si va poi a intrecciare con quella di Cyrus Trask e dei suoi due figli, Adam e Charles.
Sul web viene detto che la famiglia Trask sia stata immaginata da John Steinbeck, e probabilmente è così. Eppure c’è qualcosa che mi spinge a credere che, da piccolo, lo scrittore sia entrato a conoscenza di una storia che lo sconvolse e intrigò a tal punto da cominciare a scriverne. Una storia di due fratelli, Adam e Charles, e di una donna che è riuscita a sedurli, Cathy.
Di Charles e Cathy, Steinbeck non sa granché, li conosce solo per sentito dire, attraverso le parole che sentiva pronunciare in casa dai suoi genitori e dai compagni di scuola. Fa invece conoscenza con Adam, quasi per caso, in una calda giornata di primavera. Adam si presenta alla porta di casa sua, a Salinas, per parlare con sua nonna Liza.
Forse è proprio da questo incontro che nasce La valle dell’Eden: da quel fugace e impercettibile scambio di sguardi, da un raggio di sole che proprio in quel momento trafigge la stanza dove il piccolo John giocava con la sorella Mary.
Timshel
Se non avete letto il libro e non volete anticipazioni, fermatevi qui. Se siete lettori temerari, accompagnatemi pure.
È nel capitolo 24 che questa parola, Timshel, viene pronunciata per la prima volta da Lee, il servitore cinese di Adam Trask, durante uno dei tanti incontri tra lui, Adam e Samuel Hamilton. I tre avevano discusso a lungo su un fatto biblico (su cui poggia l’intero romanzo), ovvero la storia dei due fratelli, Caino e Abele, e l’uccisione di quest’ultimo da parte del primo.
Lee torna nuovamente su questo episodio della Genesi, rivelando ai due amici che la storia di Caino e Abele lo aveva colpito a tal punto da consultare diverse edizioni e traduzioni esistenti della Bibbia. Proprio durante questa lunga ma felice ricerca, Lee si imbatte in una parola che riesce a catturare la sua attenzione: Timshel.
Questo termine assume un significato differente a seconda del contesto in cui è inserita. Nella prima traduzione consultata da Lee, riferendosi al peccato, Dio dice a Caino: “Tu lo dominerai”. Quindi la parola viene usata al futuro, come una sorta di promessa.
Nella seconda traduzione, invece, la stessa parola viene usata a mo’ di imperativo: “E tu dòminalo!”.
Vedendo che le traduzioni della stessa parola erano in contrasto tra di loro, Lee comincia a tormentarsi sull’origine di Timshel. Dopo una serie di ricerche, che vengono raccontate dall’uomo ai due amici, giunge a una grande scoperta, che poi farà ritorno alla fine del libro.
Il significato originario è: Tu puoi. Si annulla così il futuro (Tu lo dominerai) e anche l’imperativo (Tu dòminalo!), e subentra la possibilità: Tu puoi dominarlo.
La parte che segue a questa scoperta, come ho già scritto, è stata di fondamentale importanza non solo per i tre personaggi, ma anche per me. Ho sottolineato tutto per tenerlo a mente e per potervi fare ritorno tra qualche mese, o anno. Sono riuscita a sentire la forte emozione di Lee per quella scoperta durata due anni solo per studiare sedici versetti della Genesi1.
Oltre ad avere un significato profondo all’interno del romanzo, la scoperta di Lee è un inno alla cultura, allo studio, e a tutto ciò che deriva dalla volontà di una persona di conoscere.
A distanza di mesi dalla lettura, sento battere in questo romanzo due cuori: il mio e quello dell’autore. Il mio batte perché, dopo tutto questo tempo, non sono ancora riuscita a dimenticare i personaggi e le loro storie. Quello di Steinbeck perché in questo libro è racchiusa tutta la sua vita.
Mi era successa la stessa cosa con Furore: chiudendo l’ultima pagina mi accorgo di avere gli occhi lucidi. Le lacrime bagnano prima i miei occhi, poi le mie guance, senza che io abbia il tempo necessario per realizzare ciò che ho appena finito di leggere.
La valle dell’Eden è stato un susseguirsi di emozioni, intensi e furiosi che qualsiasi lettore, credo, avrà difficoltà a esprimere, anche dopo tanto tempo aver chiuso l’ultima pagina.
→ Consiglio di ascolto: puntata del podcast Fare un fuoco di Nicola Lagioia, dove viene ripresa la storia di Caino e Abele
“Non capisce?” esclamò. “La traduzione dell’American Standard ordina agli uomini di trionfare sul peccato e il peccato lo si può chiamare ignoranza. Quella di King James fa una promessa, con il suo ‘lo dominerai’, nel senso che l’uomo sicuramente trionferà sul peccato. Ma la parola ebraica timshel - ‘Tu puoi’ - quella dà una possibilità. È forse la parola più importante del mondo. Quella che dice che la strada è aperta. Quella che ributta la cosa sull’uomo. Perché, se ‘tu puoi…’ è vero anche che ‘tu puoi non…’ Capisce?” […]. Ora milioni di persone nelle loro sette e nelle loro chiese sentono quell’ordine, ‘Dominalo’, e si battono per rispettarlo; e ce ne sono ancora di più che sentono la predestinazione in ‘Lo dominerai’. Niente di quello che fanno può interferire con quello che succederà. Ma ‘Tu puoi’! Ah, quello sì che esalta la grandezza dell’uomo e gli dà una statura paragonabile agli dei, perché malgrado la sua debolezza, il suo orrore e l’assassinio del fratello, ha ancora la possibilità di scegliere. Può scegliere la sua strada e combattere per quella. E vincere (pp. 388-389).
Non ho mai letto "La valle dell'Eden", ma il tuo racconto mi ha preso così tanto che sono andata avanti a leggere, anche oltre lo "spoiler"... complimenti, hai scritto una recensione bellissima!! Si sente tutta la tua emozione.
Ho letto La valle dell'Eden ormai un po' di anni fa, ma ricordo con disarmante nitidezza il momento in cui l'ho terminato: un'epifania. Uno dei libri più belli mai letti. Grazie per avermici fatto ripensare. Ho talmente tanti libri che aspettano di essere letti, se no avrei fatto volentieri una bella rilettura...